Gli antifurto per automobile

 

Una rassegna dei principali modelli,

sia meccanici che elettronici,

 e i metodi usati dai ladri per aggirarli

 

 

(Questo testo è protetto da copyright, pertanto non può essere riprodotto senza autorizzazione scritta dell'autore)

 

 

Nota importante

L’autore del presente articolo declina ogni responsabilità sull'eventuale uso illecito delle apparecchiature descritte o delle informazioni fornite. Infatti, questa monografia vuole avere solamente uno scopo didattico ed esplicativo, teso a dimostrare le possibilità dei ladri d’automobili e non un invito o un incoraggiamento a mettere in pratica quanto descritto.

Il semplice fatto di proseguire nella lettura, implica l'accettazione di quanto sopra.

N.B.: Questo NON è un sito commerciale. I dispositivi descritti e/o fotografati, presenti nell’articolo, sono di proprietà dell’autore, usati a solo scopo di studio ed esperimento e non sono in vendita. I link a siti di interesse, visibili a fine articolo, hanno il solo scopo di consentire, a chi lo desidera, un approfondimento dell’argomento. I relativi siti, anche se commerciali, non sono in nessun modo collegati economicamente con l’autore della presente monografia.

 

Il contrabbando di automobili rubate

 

Nel 2004, in Italia, è stata rubata un’autovettura ogni sei minuti e i dati che si riferiscono al primo semestre di quest’anno, non lasciano sperare in un miglioramento della situazione.

La maggior parte di queste automobili vanno a rifornire il florido mercato clandestino delle parti di ricambio, come ha dimostrato il sequestro effettuato dalla Squadra Mobile in un capannone dove erano immagazzinate, ed ordinatamente catalogate, parti di ricambio rubate per un valore di oltre un 500.000 euro.

Un numero minore di automobili, le più nuove o i modelli più prestigiosi, varcano i confini della nostra penisola per essere rivendute nei paesi arabi o nelle nazioni dell’est europeo, non prima di essere state sottoposte ad un accurato “remake” dei numeri di matricola e dei documenti di circolazione.

L’abilità dei falsari in questo campo è tale che soltanto un occhio molto esperto riesce ad avere qualche sospetto.

Recentemente i reparti della Polizia Stradale sono stati forniti di uno speciale kit di reagenti chimici i quali, versati sulla parte della carrozzeria che riporta il numero di matricola del telaio, riescono ad evidenziare eventuali tracce di contraffazione.

Dobbiamo però considerare che quando una vettura così “truccata” ha superato i confini Italici per essere venduta in certi paesi in via di sviluppo, a quei pochi che possono permettersene l’acquisto, la speranza che le polizie locali, spesso equipaggiate in maniera decisamente spartana, siano in grado, durante un controllo, di accorgersi che qualcosa non va nella punzonatura dei numeri di matricola, è abbastanza remota.

In un paese dell’est europeo molto vicino all’Italia, fino a qualche anno fa c’era una forte richiesta di automobili, soprattutto con motore diesel, a fronte di un’offerta del tutto insufficiente.

Molti commercianti pugliesi acquistavano in Italia vetture diesel usate che, qui da noi, a causa della pesante pressione fiscale applicata o delle normative antinquinamento, non avendo più mercato, avevano una quotazione economica estremamente bassa.

Dopo averle sommariamente revisionate le esportavano, con procedure doganali regolari, in Albania o in altri paesi dell’est europeo, dove era facile rivenderle con un lauto margine di guadagno.

Queste vetture Italiane, tutte di grossa cilindrata, rappresentavano in tali paesi lo “status simbol” di una nazione vicina che, vista nei nostri programmi televisivi che in talune nazioni sono perfettamente ricevibili, era ricca, prosperosa e consumista.

Ovviamente anche la malavita locale, fiutando l’affare, si era messa nel ramo di tali esportazioni, con la differenza che le automobili venivano spedite senza il consenso dei legittimi proprietari.

La Polizia Italiana, infatti, poneva la massima attenzione nel controllare le vetture imbarcate sui traghetti in partenza dai porti dell’Italia meridionale ma, quasi sempre, gli automezzi venivano spediti poche ore dopo il furto, quando il proprietario non aveva ancora potuto fare la denuncia alle autorità.

Una volta giunte a destinazione, la collaborazione con le organizzazioni criminali ed un vasto giro di corruzione degli organi di controllo facilitavano la “legalizzazione” dell’automobile esportata.

 

La contraffazione dei numeri di matricola

 

Un metodo usato per “taroccare” le autovetture, così si dice, nel gergo della malavita, per indicare questo tipo di contraffazione, consiste semplicemente nel sostituire in toto le parti di carrozzeria dove sono punzonati i numeri di matricola, usando quelle di un’altra, ovviamente della stessa marca e modello, che sia rimasta coinvolta in un incidente stradale di tale entità da averne causato la semidistruzione.

Gente senza scrupoli si offrirà di acquistare il relitto ad un prezzo stracciato, per ricavarne la parte di carrozzeria di cui sopra che verrà poi “trapiantata” su una vettura rubata, questa volta su commissione.

Naturalmente questa operazione ha dei costi decisamente elevati, essendo necessario estrarre completamente il motore dal cofano per effettuare i tagli e le saldature necessarie e per riverniciare le parti con la tinta originale, per questo le automobili “interessanti” dal punto di vista dei contraffattori, sono solamente quelle di fascia alta, con un valore che si aggira, e a volte supera, i cinquantamila euro.

Alcune fabbriche automobilistiche cercano di contrastare l’opera dei “taroccatori” inserendo i numeri di matricola in più punti fra cui, ad esempio, i montanti della carrozzeria che fungono da supporto motore.

Sostituire queste parti è impresa quasi impossibile, pertanto in questi punti è giocoforza la ribattitura dei numeri con risultati che, per quanto perfetti, sono comunque individuabili.

Gli agenti della Polstrada seguono appositi corsi interni per conoscere tutti i trucchi dei trafficanti d’auto rubate e spesso basta un disallineamento micrometrico dei numeri di matricola per metterli in sospetto ed indurli a spedire la vettura presso uno dei centri specialistici della Polizia dove, sotto il controllo di strumenti sofisticati ed occhi espertissimi, nessuna contraffazione supera l’esame.

Purtroppo la disinvoltura di alcuni commercianti disonesti, ha consentito la vendita di autovetture rubate cui erano state applicate le targhe e le matricole falsificate di altre vetture regolari, con il risultato che vi sono in circolazione due vetture diverse ma con targhe identiche.

Questo spiega come siano giunte delle contravvenzioni a cittadini ignari, a seguito di infrazioni commesse magari in città diverse da quella di residenza abituale e delle quali l’interessato non sapeva nulla.

 

Le assicurazioni contro il furto: un punto dolente

 

Una buona polizza assicurativa ci metterà nelle condizioni, nel malaugurato caso avessimo subito il furto della nostra vettura, di essere risarciti, almeno parzialmente.

Le compagnie assicurative, infatti, al momento di erogare il risarcimento all’assicurato, decurtano, oltre al valore dell’i.v.a. una percentuale in base alla vetustà dell’automobile.

Alcune polizze, inoltre, prevedono una franchigia che, in caso di furto anche parziale, verrà automaticamente detratta dal risarcimento.

Per alcuni modelli di vetture che, in base alle statistiche elaborate dalle assicurazioni, sono particolarmente prese di mira dai ladri, tale franchigia è spesso obbligatoria e di importo tutt’altro che modesto.

Tassa di possesso, spese per l’intestazione o il passaggio di proprietà, denari spesi per la manutenzione meccanica o di carrozzeria, eventuali effetti personali, magari di valore notevole, lasciati a bordo della nostra automobile, tutto questo non verrà riconosciuto dalla nostra assicurazione ed andrà perduto.

Se a tutto questo aggiungiamo che per la liquidazione della somma risarcitoria occorre presentare alla propria compagnia assicurativa il “certificato di chiusa inchiesta” che i tribunali rilasciano non prima di alcuni mesi dalla denuncia del furto, dobbiamo concludere che è assai meglio prendere le precauzioni necessarie per evitare di essere vittime dei ladri d’auto prevenendo così, fra l’altro, il disagio conseguente all’improvvisa scomparsa della macchina, soprattutto per coloro i quali la usano per ragioni di lavoro.

Fra l’altro, molte compagnie iniziano a praticare degli sconti, sia pure modesti, sul premio assicurativo contro il furto, a quegli automobilisti che abbiano fatto installare uno o più dispositivi antifurto alla propria vettura, soprattutto se del tipo “satellitare”, del quale parlerò più avanti.

Ma veniamo ora al punto centrale del discorso, esaminando i principali mezzi di difesa a nostra disposizione: i sistemi antifurto meccanici e quelli elettronici, non dimenticando di considerare i metodi con i quali i ladri d’auto riescono ad aggirarli, a volte con incredibile facilità e rapidità.

 

Gli antifurto elettronici

 

Questi dispositivi sono costituiti da una centralina, che spesso incorpora anche la sirena elettronica, a volte dotati di accumulatore autonomo, allo scopo di prevenire un eventuale distacco della batteria della macchina.

Certo, il fatto che l’avvisatore acustico sia incorporato alla centralina, non contribuisce sicuramente all’inattaccabilità del dispositivo.

Infatti, nel 90% dei casi, questi antifurto vengono installati nel vano motore ed in tal modo un eventuale ladro non avrà troppe difficoltà, una volta aperto il cofano, ad assestare un deciso colpo di martello sulla centralina, zittendola senza complimenti.

Naturalmente questa azione non ripristina il collegamento del sistema di accensione della macchina, anch’esso controllato dall’antifurto.

Purtroppo però tale collegamento non rappresenta un ostacolo insormontabile per un ladro d’auto esperto, infatti, gli installatori di antifurto effettuano questa parte del cablaggio senza troppa fantasia, né d’altronde ci sarebbe margine per troppe variazioni sul tema.

I sistemi di accensione, o di iniezione elettronica, sono tutti molto simili fra loro, come potete vedere dallo schema che segue per cui è fin troppo facile effettuare un ponticello di filo elettrico e far avviare in tal modo la macchina.

 

 

Schema-tipo di un classico antifurto auto: la parte che ci interessa è quella evidenziata nel riquadro verde. Si può notare il suggerimento di tagliare il collegamento elettrico fra la chiave di avviamento e la bobina di accensione, sottoponendola al controllo dell’antifurto. Anche se nelle auto moderne è preferibile interrompere l’alimentazione alla centralina di iniezione, il problema di fondo rimane: basta inserire un filo elettrico di bypass per avviare il motore. Nello stesso schema, infatti, si suggerisce di sottoporre al controllo dell’antifurto anche la pompa elettrica del carburante o di inserire lungo la tubazione del carburante un’elettrovalvola, ottenendo una maggiore sicurezza.

 

 

 

Una valida soluzione è far installare un’elettrovalvola a solenoide lungo la tubazione di alimentazione del carburante, naturalmente posta in posizione poco accessibile, o un relè di blocco della pompa carburante, comandati dalla stessa centralina antifurto.

Nessun elettrauto provvederà mai all’installazione di un simile dispositivo “sua sponte”, a causa del tempo che tale lavoro farebbe perdere, per cui l’unica soluzione rimane quella di chiedergli espressamente di eseguirlo, diciamo così “extra”, contrattando l’onere pecuniario aggiuntivo.

Attenzione poi a quegli antifurto elettronici, ormai estremamente diffusi, dotati di un radiocomando per l’inserimento, che funge anche da portachiavi!

Sono dispositivi estremamente pratici giacché permettono, sulle vetture dotate di sistemi apriporte automatici, di inserire l’allarme e di chiudere la vettura con la semplice pressione di un tasto.

Purtroppo i vecchi modelli e quelli più economici o di marche sconosciute, possiedono un sistema di codifica del trasmettitore che è possibile aggirare tramite appositi decodificatori reperibili nel giro della malavita.

A questo punto voglio descrivervi, molto dettagliatamente, la tecnica usata dai ladri d’auto per clonare un telecomando, compresi quelli per apricancello, anche dell’ultima generazione.

Non troverete nulla del genere su nessun altro sito web; quello che leggerete di seguito è qualcosa di assolutamente inedito.

Tuttavia, benché le informazioni che fornisco siano sostanzialmente esatte e particolareggiate, non aggiungo indicazioni sulla reperibilità dei dispositivi descritti, onde prevenirne usi illeciti.

Scopo di queste monografie è, infatti, mettere le persone nella condizione di difendersi efficacemente dai furti, attraverso la conoscenza delle tecniche usate dalla malavita e non un invito o un incoraggiamento a mettere in pratica quanto descritto.

 

Come clonare un telecomando

 

 La quasi totalità degli attuali radiocomandi, in accordo con le Normative Europee EN 300 200 ed ETS 300 683, funziona su frequenze ben determinate e note. Devono, infatti, essere dotati di certificato di omologazione secondo la direttiva 99/5/CE. Le frequenze stabilite dal Ministero delle Comunicazioni per impianti di allarme e per i radiocomandi relativi vanno da 433.050 a 433.790 MHz.

Inoltre, nel quadro nazionale della riorganizzazione delle trasmissioni via radio il legislatore ha già individuato una nuova banda di frequenza a 868 MHz che già viene utilizzata nei nuovi prodotti.
Qualsiasi trasmettitore che non utilizzi le frequenze indicate dal piano nazionale di ripartizione delle frequenze per applicazione di sistemi radio d'allarme senza filo è fuori legge, anche se possiamo trovare in funzione alcuni vecchi modelli sui 30.155 MHz

Non svelo pertanto nessun segreto indicando le frequenze di cui sopra. Chiunque può prenderne visione sulla Gazzetta Ufficiale.
  Questo risolve il primo problema per chi volesse clonare un telecomando; la ricerca della frequenza giusta. Rimane da scoprire il codice. Come fare? Osservate le foto seguenti e le relative didascalie:

 

 

Il dispositivo riprodotto qui sopra è un decodificatore, completo di modulo ricevente ibrido AUREL a 433 MHz. E’ dotato di quattro canali indipendenti funzionanti in modo impulsivo o bistabile. Un apposito microprocessore, autoapprende i codici del telecomando nel momento in cui l’ignaro automobilista preso di mira chiude la propria auto. Ovviamente l’apparecchio, e il birbaccione che lo manovra, devono trovarsi nel raggio di una decina di metri, per esempio in una macchina parcheggiata nei pressi. In questo modo i codici vengono registrati in una memoria EEPROM. Il dispositivo è perfettamente in grado di decodificare i treni di impulsi generati dai codificatori della serie MM53200, UM3750, UM86409, ecc. ossia praticamente tutti i sistemi di codifica in commercio. A questo punto non resta che trasferire i codici ad un trasmettitore a due o quattro canali come quello visibile nella foto seguente:

NOTA: la procedura di trasferimento dei suddetti codici, non è descritta nemmeno nei “data sheets” dell’azienda che assembla i dispositivi di cui sopra, tuttavia è possibile mediante una procedura tanto semplice quanto geniale. Mi sono rotto la testa per giorni cercando di intuirla, l’avevo sotto gli occhi e non la vedevo!

 

 

 

 

Il dispositivo rappresentato qui sopra trasmette con 1 watt di potenza, in modo da saturare il ricevitore posto nell’antifurto della vettura impegnandolo anche se la frequenza di trasmissione non fosse assolutamente precisa. Tanto per dare un’idea di cosa significhi 1 watt irradiato a due/tre metri di distanza, sappiate che i comuni trasmettitori per radiocomando antifurto hanno potenze da cento a mille volte inferiori.

In tal modo non solo viene disattivato l’antifurto, ma vengono anche aperte le portiere, cosicché il ladro può agire sul bloccasterzo, forzandolo, per poi collegare opportunamente i fili posti sotto al quadro ed avviare il motore.

I dispositivi elettronici appena descritti, il cui costo si aggira sul centinaio di euro, sono tranquillamente reperibili in Italia, così come quelli che seguono, nel catalogo di una nota azienda che li assembla per ben altri scopi.

Ovviamente, per ragioni di sicurezza, ne tacerò il nome.

 

Una clonazione facile facile

 

E’ possibile clonare il vostro telecomando anche in modo estremamente semplice e, per così dire, alla portata di tutti, senza ricorrere ai sofisticati dispositivi appena descritti, purché ricorrano certe condizioni. Seguitemi: Basta procurarsi un telecomando con autoapprendimento simile quello della foto seguente, spendendo meno di trenta euro. Ne esistono di varie marche e modelli, tutti sostanzialmente equivalenti.

Poi si prende il vostro telecomando (quello che lasciate abitualmente nel primo cassetto della scrivania, in ufficio o sul tavolo in negozio) si avvicina al dispositivo di cui sopra e, semplicemente, si copia il codice, frequenza compresa, in una manciata di secondi.

Troppo banale? Neanche immaginate quante automobili sono state rubate in modo così stupido, sfruttando la distrazione del proprietario. Ma questo non è il vostro caso… ora che sapete come difendervi.

 

I nuovi modelli “Roller Code”

 

Per contrastare la scannerizzazione dei codici, ormai da alcuni anni sono in commercio modelli di antifurto per auto più sofisticati (e purtroppo anche più costosi), progettati in modo da usare più di un codice in sequenza, su due frequenze distinte o, meglio ancora, generando un codice diverso ogni volta che viene usato il relativo telecomando.

In tal modo il codice di chiusura delle portiere e di attivazione dell’antifurto sarà diverso da quello successivo di apertura ed ancora differente da quello generato la prossima volta.

Ovviamente il ricevitore di questi dispositivi è progettato in modo da prevedere l’evolversi dei codici trasmessi, secondo una logica predeterminata da un apposito algoritmo.

Il sistema sembrava inviolabile finché, all’inizio del 2005, quindi recentemente, qualche genietto malvagio ha trovato il modo di utilizzare un decodificatore commerciale, adattandolo per i propri scopi. Osservate le foto seguenti e le relative didascalie:

 

L’apparecchio visibile nella foto sotto è un completo decodificatore per radiocomandi a rolling-code basati sull’algoritmo di codifica KeeLoq Microchip. Quasi tutti usano questo algoritmo in virtù della sua stabilità e sicurezza.

 

Sulla scheda in vetronite è implementato un microprocessore PIC12C509 funzionante come decoder e programmato con un opportuno software. Una memoria EEPROM 24C08 (1Kx8 bit) si occupa di registrare i codici fissi (parte di 28 bit) appresi di volta in volta dai singoli radiocomandi da clonare. Il dispositivo deve essere abbinato a ibridi riceventi Aurel sulla frequenza opportuna (la piccola scheda visibile a destra, inserita verticalmente).

A sinistra nella foto, vediamo il connettore Cannon per l’interfacciamento, tramite porta seriale RS232-C, con un computer. Sullo schermo del PC verrà visualizzata l’impostazione dei bit di codifica e quindi il codice dei trasmettitori standard basati sull’integrato MM53200 della National Semiconductors e MC1450xx Motorola operanti a 433,92 MHz. Il tutto gira sotto un semplice programma in QBasic fornito su dischetto insieme al dispositivo.

(Nel caso dei nuovi dispositivi, funzionanti a 868 MHz, basta cambiare l’ibrido ricevente Aurel inserendone uno della frequenza opportuna).

Quando l’ignaro automobilista inserisce l’antifurto con il suo telecomando, il malandrino, parcheggiato a pochi metri di distanza, registrerà il codice variabile.

A questo punto interfaccerà il dispositivo con un radiocomando a rolling-code, trasferendo i codici “et voilà”. La prossima apertura delle portiere e disattivazione dell’antifurto avverrà col nuovo codice appositamente generato. All’insaputa del proprietario che tornerà a casa con i mezzi pubblici!

       Certo, rimane il problema della chiave di avviamento che contiene il codice dell’immobilizzatore. Ma, come dice il saggio: fuorché alla morte, a tutto c’è rimedio!

Ne parliamo più avanti…

Apro ora una parentesi che darà un’ulteriore colpo alla vostra tranquillità: ho scritto più sopra che il ricevitore usato per clonare i codici deve trovarsi ad una decina di metri dal vostro telecomando nel momento in cui aprite le portiere. In effetti, l’antenna ricevente del dispositivo è costituita, in genere, da un semplice pezzo di filo elettrico lungo una decina di centimetri. Un sistema non certo efficiente!

Mi chiedevo come sarebbero andate le cose collegando un’antenna migliore, per esempio quella dell’autoradio.

A prove fatte, la distanza di rilevazione dei codici è aumentata solo di pochi metri.

Allora ho usato un’antenna direttiva Yagi ad alto guadagno, di quelle usate dai radioamatori per la gamma dei 70 cm. simili a quelle della TV per il secondo canale, ma più piccole, e l’ho collegata al ricevitore con un opportuno adattatore di impedenza autocostruito.

Poi, dal terrazzo di casa, ho puntato la mia macchina parcheggiata ad una cinquantina di metri di distanza clonandone il telecomando nel momento in cui mia moglie apriva le portiere. Lo stesso ho fatto con l’apricancello dei box condominiali. Solo che ero a non meno di cento metri di distanza! Non male, considerando che era il primo tentativo dell’apprendista stregone!

Dall’alto avrei potuto clonare gli antifurto di tutte le macchine che venivano parcheggiate nei dintorni ed aprirle senza neanche avvicinarmi!

Spaventati? ne avete tutte le ragioni! forse sarebbe meglio comandare questi dispositivi di sicurezza con una chiave elettronica posta nell’abitacolo. Meno pratica, certo, ma anche meno clonabile.

 

La sirena: una difesa poco efficace

 

Torniamo ad esaminare ancora il circuito tramite il quale gli antifurto bloccano l’avviamento del motore. Non molto è cambiato rispetto ai modelli precedenti anche se, ad onor del vero, molti schemi elettrici di montaggio consigliano di collegarsi contemporaneamente a diversi punti dell’impianto di accensione come, per esempio, la centralina dell’iniezione elettronica, la pompa elettrica del carburante eccetera, onde raggiungere una maggiore sicurezza antiladro. (Si osservi nuovamente lo schema pubblicato più sopra).

Anche nel caso degli antifurto, più recenti, rimane validissimo il consiglio che ho dato poc’anzi circa l’installazione dell’elettrovalvola sul condotto del carburante, un dispositivo poco costoso e di difficilissima neutralizzazione.

A questo punto è opportuna un’altra considerazione: gli antifurto installati sulle auto sono ormai numerosissimi e, proporzionalmente, sono numerosi i falsi allarmi, in parte dovuti ad una taratura frettolosa dei sensori di urto.

Ne deriva che nelle nostre città è tutta una sinfonia di sirene e, conseguentemente, è andata perduta la loro funzione principale: allertare qualcuno, assumendo invece quella di disturbo della quiete pubblica.

In conseguenza di ciò, parecchi comuni si stanno orientando verso la proibizione dell’uso di tali segnali acustici, sanzionando pesantemente i trasgressori.

Il sindaco di Torino, tanto per fare un esempio, ha emesso, anni fa, un’ordinanza che impone di disattivare il funzionamento delle sirene di allarme delle autovetture fra le ore 22.00 e le 06.00 del mattino, pena una multa salata.

In conclusione, un dispositivo che si limiti ad evitare il furto totale dell’auto bloccandone i circuiti di avviamento in modo abbastanza sofisticato, è già una buona soluzione, a mio parere.

Infatti, il vero e solo sistema antifurto per la nostra autoradio, così come per altri oggetti di valore, consiste semplicemente nel non lasciarli nella macchina, anche in considerazione del fatto che ormai tutti i modelli sono dotati di frontalino estraibile e, pertanto, assai pratici da portare con sé.

Un ladro, dopo aver rotto il cristallo laterale di un’autovettura, può smontare un’autoradio lasciata imprudentemente inserita, in un minuto o poco più.

Anche meno occorre per guardare sotto i sedili, luogo nel quale taluni, ritenendo di aver avuto un’idea incomparabilmente originale, nascondono il frontalino.

In una così breve manciata di secondi è utopico pensare di acciuffare il ladro, ma neanche affacciarsi alla finestra dopo essere stati allertati dal suono della sirena, ammesso di poter riconoscere l’allarme della nostra macchina fra tutti gli altri.

Se a questo aggiungiamo che, a causa della scarsità di parcheggi, problema endemico delle grandi città, potremmo aver posteggiato l’auto a notevole distanza dalla nostra casa o posto di lavoro, si capisce come l’ululato del nostro allarme sia solo un disturbo dell’altrui pace e non un deterrente contro il furto.

Comunque, se proprio non volete rinunciare alla classica sirena, vi consiglio di affiancarla ad un minitrasmettitore, in grado di lanciare un radiosegnale ricevibile nel raggio di un paio di chilometri, tramite un dispositivo simile per forma e dimensioni, ad un cercapersone, come quello nella foto seguente.

 

 

Un’insistente “bip-bip” proveniente dal ricevitorino ci avviserà del tentativo di furto in atto, cosicché potremo intervenire per controllare cosa è accaduto ed eventualmente disattivare l’allarme, salvaguardando anche i timpani dei vicini.

Il costo di questo accessorio non è affatto elevato, superando di poco i settanta euro, tuttavia, a suo svantaggio, comporta l’installazione di un’antenna trasmittente non piccolissima se si vuole raggiungere la portata ottimale del segnale radio.

 

Un sistema usato per disattivare gli antifurto

 

A questo punto voglio farvi conoscere uno degli ultimi sistemi adottati dai ladri d’auto per disattivare le sirene degli antifurto; spiace ammetterlo ma è un’idea semplice e geniale: prima di attaccare la vettura il ladro smonta una delle frecce laterali, quelle che lampeggiano contemporaneamente al suono della sirena. Poi ne mette in cortocircuito i fili e forza lo sportello della macchina. L’allarme entra in funzione ma, appena fornisce tensione alle frecce, va in cortocircuito con conseguente bruciatura dei suoi fusibili. La sirena non inizia nemmeno a suonare; a questo punto basta ripristinare il circuito antiavviamento, come abbiamo visto più sopra, per andarsene con la vostra automobile.

La difesa, fortunatamente, c’è e nemmeno troppo costosa: basta far installare due fusibili di basso amperaggio in serie al morsetto dell’antifurto per il comando delle frecce. In caso di tentativo di furto con il metodo suddescritto, allo scatto dell’allarme salteranno i fusibili delle frecce mentre la sirena potrà suonare egualmente.

 

Un accessorio non consigliabile

 

Parliamo ora di un altro accessorio, applicabile ad un antifurto già esistente che, in caso di allarme, agendo su una pompa elettrica, manda in pressione il circuito idraulico dei freni dell’autovettura, bloccandola così inamovibilmente.

Questo dispositivo è stato ideato per evitare il furto dell’automobile mediante un carro-attrezzi. E’, infatti, con questo mezzo che ladri superattrezzati hanno asportato automobili di alto valore, in barba agli antifurto installati.

A prima vista il bloccaggio dei freni può sembrare l’uovo di Colombo, tuttavia non mi sento di consigliare l’adozione di questo accessorio: non dimentichiamo, infatti, che le norme di omologazione delle autovetture non consentono l’installazione di un simile dispositivo quindi, alla prima revisione, che ora ha cadenza biennale, vi verrà imposto di smontarlo.

Sicuramente questo dispositivo incorpora sistemi di sicurezza che non ne consentono l’attivazione accidentale quando il motore è acceso, ciò nonostante, a conferma di quanto dice la “legge di Murphy”, se c’è una probabilità infinitesima che il malfunzionamento di un dispositivo si possa verificare, questo si verificherà immancabilmente nel momento in cui può causare il maggiore danno possibile!

Pertanto non posso che sconsigliare decisamente l’installazione di questo dispositivo invitandovi, semmai, ad integrare l’antifurto elettronico con uno di tipo meccanico, come vediamo qui di seguito.

 

Gli antifurto meccanici:

 

I vari antifurto di tipo meccanico presentano il vantaggio di essere immediatamente visibili, cosa che non sempre avviene con quelli elettronici. In tal modo il loro effetto deterrente evita il forzamento della serratura dello sportello o lo sfondamento di un deflettore o di un cristallo laterale, da parte di un ladro non abbastanza determinato.

D’altra parte la loro resistenza allo scasso è il più delle volte insufficiente e limitata a pochi minuti; sono quindi adatti a contrastare il tentativo di furto di un balordo occasionale e solo se abbinati ad un antifurto di tipo elettronico che impedisce l’avviamento del motore, possono offrire una sufficiente sicurezza anche contro un ladro capace ed attrezzato.

Passiamone in rassegna alcuni fra i più diffusi, facendo riferimento, per una migliore comprensione, alle foto allegate che seguono: Iniziamo dalla classica e popolare catena, e relativo lucchetto, applicata fra il volante ed il telaio dei sedili della vettura.

Questo semplice sistema funziona allo stesso modo dell’”ombrello” ossia quell’asta di acciaio dotata di serratura di sicurezza che si applica fra la pedaliera ed il volante e che, collegandoli strettamente, impedisce non solo di sterzare, ma anche di abbassare la frizione.

Peccato che il punto debole del sistema sia proprio il volante della macchina!

Infatti nessun furfante penserebbe mai di segare la catena od il lucchetto, poiché avremo avuto cura di acquistarne un modello di adeguata resistenza, né tantomeno proverà a tagliare l’”ombrello”, che è costituito da un grosso tondino di acciaio temperato.

Il volante invece, a dispetto della sua sezione, contiene soltanto un tondino di acciaio di modesto spessore, pertanto un ladro potrà tagliarlo con un comune seghetto per metalli nel giro di meno di un minuto. Poi farà uscire la catena o l’ombrello, superando così l’ostacolo.

Con la stessa tecnica si può eliminare quella lunga asta d’acciaio che si mette di traverso al volante, bloccandola con l’apposita serratura di cui è dotata, ed il cui scopo è di rendere impossibile girare lo sterzo poiché interferisce con le gambe del pilota o con il parabrezza.

 

 

 

 

 

 

Nella foto a sinistra, la classica catena al volante, eliminabile con il metodo descritto nell’articolo. A destra un’asta bloccavolante. Anche per quest’ultimo antifurto vale quanto detto per la catena.

 

 

Ovviamente, una volta segato il volante in uno o due punti, non sarà molto agevole guidare la macchina ma, una volta che il ladro si sarà allontanato di qualche chilometro, messosi al sicuro, potrà eventualmente sostituire il volante con un’altro che avrà avuto cura di portare con sé. Questa operazione è abbastanza rapida poiché quasi tutti i volanti delle autovetture sono tenuti al loro posto da un solo grande bullone.

Un’altro sistema antifurto è costituito dal comune “bloccapedali”, un dispositivo costruito da vari fabbricanti, spesso artigianalmente. Somiglia, grosso modo, ad una morsa che, applicata fra il pedale del freno e quello della frizione, ne impedisce l’uso.

Essendo costituito da barre di acciaio decisamente massicce, non è pensabile tagliarlo con un seghetto né tantomeno è attaccabile il relativo lucchetto, a causa del poco spazio disponibile ed anche per il fatto che la sua posizione, sotto al cruscotto e fra i pedali, è assolutamente disagevole.

 

 

Da questo punto di vista sembra decisamente un dispositivo sicuro, peccato però che qualche ladro riesca a rubare l’auto cambiando le marce “ad orecchio”, cioè portando il motore ad un preciso numero di giri e frenando con il freno a mano. Certamente una manovra riservata a chi è veramente un esperto pilota e, comunque, per brevi tratti di strada.

Rimanendo ancora all’interno dell’abitacolo, un altro dispositivo antifurto è costituito dal “bloccacambio”. Si tratta di una barra di acciaio che, inserita sulla leva del cambio, la collega con il freno a mano.

 

 

Una volta chiusa la serratura, della quale il “bloccacambio” è, ovviamente, dotato, non è più possibile inserire le marce né togliere il freno di stazionamento.

Come al solito, se osservate la foto relativa a questo dispositivo, il suo funzionamento sarà subito chiaro.

Attenzione però, la sezione del metallo che costituisce questo dispositivo è, a mio parere, troppo modesta per renderlo inattaccabile. Quindi costituisce un deterrente per il balordo di passaggio, non per un ladro attrezzato e determinato.

Esiste poi un’altro modello di “bloccacambio”, assai più sofisticato e sicuro di quello appena descritto ma, contrariamente al precedente che è facilmente adattabile a tutte le autovetture ad eccezione di quelle dotate di cambio automatico, bisogna chiederne la versione specifica per la propria automobile.

Può essere montato, a seconda del modello scelto, al di sotto o al di sopra del tunnel che, all’interno della vettura, funge da supporto alla leva del cambio. Deve quindi necessariamente essere installato da un meccanico. Nel caso del montaggio interno al tunnel, l’unica parte visibile del dispositivo sarà il blocchetto della serratura con la quale s’inserisce. Osservate le foto seguenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Se proprio vogliamo evidenziare un suo difetto, oltre al costo notevole, diciamo che, qualora si venda l’automobile, non potrà più essere smontato e quindi dovrà essere ceduto al nuovo proprietario.

In compenso la sua sicurezza è veramente elevata, essendo necessario smontare tutto il tunnel interno della macchina per raggiungerlo e, comunque, l’acciaio di cui è costituito, unitamente al suo spessore, lo rendono praticamente inattaccabile.

Un’altro vantaggio dei due antifurto bloccacambio appena descritti, consiste nel fatto che si può attivarli lasciando inserita la retromarcia. Sfido qualunque ladro d’auto, per quanto abile pilota, a rubare una vettura così protetta ed a fuggire a marcia indietro!


Vi sarà capitato di vedere delle automobili parcheggiate con applicata, ai bulloni di fissaggio di una ruota, una robusta asta d’acciaio della lunghezza di circa un metro.

Applicando questo dispositivo antifurto, tramite un’apposita chiave, ad una delle ruote, si rende impossibile la marcia del veicolo. La robustezza del tubo metallico e la discreta sicurezza della chiave di comando, rendono questo sistema abbastanza affidabile.

Attenzione però: ho avuto modo di vederne un modello che sporgeva alquanto dal bordo della macchina. Essendo troppo lungo e troppo inclinato verso l’esterno un tale dispositivo costituirebbe un serio pericolo per uno scooter che transitasse molto vicino alla macchina.

Non dimentichiamo che, qualora ciò causasse un incidente, ne saremmo direttamente responsabili anche sul piano penale. Pertanto, se volessimo orientarci su un dispositivo antifurto di questo tipo, controlliamo che non sporga in modo eccessivo dalla ruota.

 

 

Il furto con il “carro attrezzi”

 

In conclusione, si potrebbe pensare che, facendo installare sulla propria automobile un valido antifurto elettronico e, stante il loro costo non elevato, un paio di antifurto meccanici, si possa poi dormire fra due guanciali.

Ciò è vero nel caso la vostra auto non sia più nuovissima e non abbia un valore di mercato troppo alto.

Nel caso invece di una macchina nuova fiammante, relativamente costosa e di un modello ambito, parcheggiata in strada, avrete ragione di temerne il furto mediante un sistema assai temibile: il carro attrezzi.

Purtroppo qualche disonesto proprietario di questi mezzi, oltre al lavoro per così dire “normale”, fa un po' di “straordinari”, non disdegnando di trasportare qualche automobile senza che il legittimo proprietario ne sia informato.

Anche se l’allarme della macchina così prelevata suona a distesa mentre viene rimorchiata, tutti penseranno che si tratta di una vettura rimossa da un divieto di sosta, dove intralciava la circolazione stradale.

In questi casi non c’è bloccasterzo, bloccapedali od altro che funzioni, un’automobile può essere agganciata e rubata nel giro di due o tre di minuti.

 

L’antifurto “satellitare”

 

Alcune aziende commercializzano la medicina adatta per simili casi: si tratta dell’antifurto “satellitare”, connubio fra telefono cellulare e sistema per il rilevamento della posizione G.P.S. ossia Global Positioning Sistem.

Un’autovettura dotata di un simile dispositivo, al momento del furto, anche mediante sollevamento con il carro attrezzi, invia un segnale radio ad un centro di controllo, attraverso il quale può essere determinata la sua posizione, in qualunque parte del pianeta, con un’approssimazione inferiore ai dieci metri. Questo dispositivo, degno di James Bond, aveva un prezzo di acquisto adeguato alle sue caratteristiche, ma ora alcuni produttori lo offrono in comodato d’uso, una soluzione sicuramente conveniente anche se occorre abbonarsi al centro di controllo con un contratto di due o tre anni.

L’installazione, che necessita di mano d’opera competente, si aggira sui cinquecento euro. Se consideriamo che certi modelli della Mercedes, BMW, Alfa Romeo eccetera, possono costare un bel sacchetto di dobloni, allora è giustificabile la spesa per far installare un dispositivo di tale sofisticazione.

Anche le compagnie assicuratrici non sono rimaste insensibili all’avanzata tecnologica, offrendo consistenti sconti sulla polizza furto a chi abbia optato per tale dispositivo che, sempre più spesso, viene installato a bordo dei “TIR” che trasportano merci per migliaia di euro con funzioni, oltre che di antifurto, anche di antirapina. E’ successo, infatti, che alcuni autisti di questi bisonti della strada siano stati assaliti, durante una sosta, da malviventi armati che, sotto minaccia, li hanno costretti a scendere e, dopo averli legati ed imbavagliati, si sono dileguati con il pesante mezzo e con il relativo prezioso carico.

Fin qui le buone notizie, passiamo ora alle cattive: Durante un normale controllo notturno, i Carabinieri hanno fermato un camion con a bordo due noti malfattori. Visti i precedenti dei due, hanno aperto il vano di carico del mezzo trovandovi all’interno una BMW immacolata, caricata a bordo tramite un argano elettrico ed appositi binari d’acciaio.

Nello stesso momento il centro di controllo dell’antifurto satellitare ha visto riapparire i dati di localizzazione dell’auto che erano improvvisamente spariti.

Cosa era successo: il vano di carico, in vetroresina, era rivestito, internamente, con una comune rete elettrosaldata per recinzioni, collegata elettricamente alla massa del camion.

Si trattava, in definitiva, di un dispositivo elettromagnetico noto fin dai tempi in cui Berta filava!  La gabbia di Faraday.

Inventata dall’omonimo fisico e chimico vissuto nel Regno Unito nel secolo scorso, si comporta come un grande schermo che impedisce l’ingresso e l’uscita delle onde radio. Anche di quelle necessarie all’antifurto per autolocalizzarsi usando la rete satellitare GPS e trasmettere l’allarme alla centrale operativa tramite le celle GSM.

Ovviamente questo è un caso estremo, organizzato da una banda di malfattori super organizzata. La scoperta del supermarket di pezzi di ricambio rubati, di cui ho parlato all’inizio articolo, è stata la diretta conseguenza delle indagini successive all’arresto dei due malviventi di cui sopra.

Tutto sommato, l’antifurto satellitare offre buone garanzie di sicurezza.

Di nuovo però, alcuni ladri hanno aggirato il problema dimostrando “creatività” e “spirito d’iniziativa”: entravano nottetempo nelle autorimesse pubbliche e pregavano il custode di fornire le chiavi delle auto più interessanti. Mostrandogli la canna di una pistola onde prevenire antipatici dinieghi.

 

Il bloccasterzo di serie: una difesa insufficiente

 

Come avrete notato, fra i dispositivi meccanici antifurto, volutamente non ho citato il bloccasterzo in dotazione di serie, proprio perché quest’ultimo non presenta caratteristiche di sicurezza sufficienti. Nella gran parte dei casi viene superato semplicemente mediante un’abile manipolazione della serratura a mezzo di appositi grimaldelli la cui reperibilità è tutt’altro che difficile.

Molte chiavi di avviamento per automobile, soprattutto le meno costose, sono del tipo a dentelli con soli cinque cilindretti di codifica. Una serratura di tal genere può essere forzata anche da un modesto ladruncolo nel giro di un minuto.

E’ vero che molte case automobilistiche sono corse ai ripari dotando i loro modelli, soprattutto della fascia più alta, di serrature particolari non manipolabili ma, in questi casi, il ladro smonterà totalmente il bloccasterzo usando un trapano a batterie per far saltare i bulloni “a frattura determinata” che bloccano questo dispositivo di serie. Dopodiché collegherà in maniera opportuna i fili elettrici sotto al cruscotto e prenderà il volo.

Il box privato o l’autorimessa condominiale: ecco un luogo dove il ladro, contrariamente a quanto comunemente si crede, può lavorare indisturbato, anche per un’oretta, senza il pericolo che una volante della polizia o dei carabinieri di passaggio, possano scoprirlo.

Infatti, nel caso di un’automobile parcheggiata in strada, il ladro tenta il furto solo se ciò richiede pochi minuti di lavoro. Oltre questo tempo il rischio di essere scoperto diviene eccessivo e conviene tentare con un’altra vettura meno protetta.

 

L’immobilizer

 

Un dispositivo introdotto da circa un decennio dalle case automobilistiche, è il cosiddetto “immobilizer”. Si tratta di un circuito elettronico totalmente integrato nella centralina di iniezione del carburante, in grado di riconoscere un codice digitale senza il quale l’accensione della vettura non può avvenire.

All’interno dell’impugnatura della chiave di avviamento viene inserito un “microchip” contenente il codice in questione. Nel momento in cui la chiave viene inserita nella serratura del bloccasterzo, un’apposita bobina, coassiale con la suddetta serratura, raccoglie per induzione la “parola d’ordine” scritta elettronicamente all’interno dell’impugnatura.

Fino a poco tempo fa si riteneva impossibile duplicare fraudolentemente la chiave della vettura poiché la semplice riproduzione meccanica della stessa sarebbe sì sufficiente a liberare il bloccasterzo ed a far girare il motorino di avviamento, ma non darebbe il consenso alla centralina di iniezione, con la conseguenza che il carburante non verrebbe polverizzato nei cilindri e la macchina non si metterebbe in moto.

Per avere una copia “funzionante” della chiave, oltre quelle in dotazione di serie, occorre richiederla alla casa costruttrice dimostrandone il legittimo diritto con la presentazione di un tesserino plastificato simile ad una comune carta di credito, che viene rilasciato al momento dell’acquisto della vettura o, per alcune marche automobilistiche, esibendo il libretto di circolazione intestato al richiedente.

Rubare un’automobile dotata di immobilizer sembrava possibile solamente con l’ausilio di un carro attrezzi o, in alternativa, procurandosi una centralina di iniezione per quel certo modello di vettura, completa delle chiavi codificate e del bloccasterzo relativo. Quindi procedendo alla sostituzione delle parti, a patto di avere la competenza tecnica, gli attrezzi ed il tempo necessari. Infatti, dopo l’adozione di questo dispositivo, i furti d’auto erano calati drasticamente. (Grazie all’immobilizer, nel ’95 i furti scesero a 277.000, 13.000 meno che nel ’94 Fonte Touring Club Italia). Un altro metodo consiste nel manomettere la centralina con l’attivazione del programma di funzionamento d’emergenza. Si tratta di una procedura software prevista per escludere l’intervento dell’immobilizer in caso di malfunzionamento del trasponder inserito nella chiave di avviamento. (Infatti, nel ’96 ci fu un’impennata: 305.000. I ladri stavano imparando a superare il nuovo dispositivo. Fonte Touring Club Italia).

A partire dal 1997 però, le case automobilistiche iniziarono ad introdurre immobilizer molto più sofisticati, ponendo molti ladri nelle ambasce: era forse giunto il momento di dedicarsi ad un lavoro onesto? L’angoscioso dilemma è stato superato nei primi mesi del 2004. Come? Ma studiando il modo per clonare i codici dei trasponder nelle chiavi, ovvio! Altrimenti l’Università del Furto che ci sta a fare? Seguitemi e non finite di stupirvi.

L’immobilizer, l’ho già detto, è un dispositivo integrato nella centralina di iniezione, in grado di riconoscere il codice posto nella chiave di avviamento.  La scheda elettronica visibile qui sopra, reperibile in Italia nel catalogo di una nota azienda che li assembla per ben altri scopi, è dotata di una bobina (l’oggetto circolare posto sulla destra) in grado di generare il campo elettromagnetico necessario per attivare i trasponder delle chiavi.

Si predispone l’apparecchio alla lettura attraverso un’apposita procedura di programmazione poi, avvicinando una chiave ad una decina di centimetri, se ne copia il codice nella memoria EEPROM incorporata. Il microcontrollore della scheda è programmato per svolgere automaticamente le operazioni necessarie.

 

 

Successivamente si trasferisce il codice in un comune trasponder “Sokymat”, come quello della foto sopra. Basterà avvicinarlo al blocchetto di accensione per ottenere il via libera dalla centralina di iniezione.

Resta da manipolare la serratura del bloccasterzo, ma questo non è un gran problema per un ladro esperto.

Qualcuno obietterà che, per avvicinare la chiave originale alla bobina bisogna averla fisicamente in mano, anche se per pochi secondi e voi, che avete letto più sopra il paragrafo “Una clonazione facile facile” sapete che non dovete lasciarla alla portata di nessuno.

Eppure, i trasponder vengono clonati lo stesso! Mi chiedevo come fosse possibile, così ho fatto un esperimento: innanzitutto ho acquistato i dispositivi necessari (spendendo meno di una cena al ristorante) poi ho verificato la frequenza di risonanza della piccola bobina, 125 KHz. A questo punto ne ho costruita un’altra, quadrata, di venti cm di lato, più grande ma ancora mimetizzabile sotto una giacca. E ho raggiunto una portata di tre-quattro metri! clonando il trasponder della mia macchina posto all’altro capo del tavolo.

Facciamo ora un’ipotesi: il signor XY va al lavoro con la sua Mercedes nuova fiammante. Mica entra in città, perbacco! troppo traffico, pochi parcheggi, centro storico chiuso ai non residenti ecc. Il signor XY lascia la macchina in un comodo parcheggio di scambio, scende e va a prendere la metro. Non si accorge di quel giovanotto distinto che lo segue. E come potrebbe! Quello mica lo guarda né gli rivolge la parola. Prende solo la metro come lui, VICINO A LUI. Mette una mano in tasca, preme un bottoncino e…torna indietro, al parcheggio di scambio. Poco dopo si avvia a bordo di una Mercedes nuova fiammante. Il signor XY, al contrario, stasera tornerà a casa in autobus. Non prima di essere passato alla locale caserma dell’Arma per denunciare la scomparsa della sua Mercedes.

Era nuova fiammante.

 

 

Claudio Ballicu

 

 

 

 

Per saperne di più:

http://www.asaps.it/articoli/Art_2003/A0281.html

Interessante e completo articolo sui furti auto a cura di un Ispettore Capo della Polizia Stradale (segnalatomi da un lettore, Emanuele M. che ringrazio)

 

 

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